Grande Prigione Centrale Sotterranea

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    Notte. Soltanto una figura si distingueva, solitaria, nel buio desolato e quasi assoluto di quelle stanze ora così vuote e silenti, gli uffici della seconda brigata, ove il plenilunio s'ostinava a far filtrare della flebile luce attraverso le vetrate. Un luogo ben poco gradevole, disordinato, inaccogliente, contaminato da una disarmonia originata dal fine stesso del luogo, l'incapacità di potervisi orientare all'interno sembrava regnar sovrana, anche per quegli stessi shinigami che durante il giorno vi compivano sofferti incarichi. Nondimeno la figura non sembrava aver alcun problema del genere, seduto con mirabile compostezza ad una delle tante scrivanie impilate di scartoffie e carte dalla dubbia utilità, pareva quasi trovarsi a suo agio in quel caos strisciante ed apparentemente assente in quelle ore, seppure ben radicato ed indivisibile da quelle stesse mura. I capelli bianchi lasciati del tutto liberi, privi d'alcuna costrizione, venivano lievemente scossi dalla lieve brezza che gli sfiorava anche il giovane volto, marmoreo, d'una bellezza unica ed indicibile, vagamente illuminato dalla luna, pareva una scultura d'arte, effimera quanto egualmente inanimata. Le lunghe dita dal candido colorito sfogliavano banali rapporti ufficiali che eccedevano indubbio nell'uso delle parole, rendedoli ben più tediosi e melensi del necessario, ad una velocità impressionante, vittime ed al contempo esecutrici d'una foga inarrestabile, incapaci di fermarsi o anche solo di rallentare, costrette dall'egoistico desiderio di ricerca del loro padrone. Quei fogli non erano altro che liste, lunghe raccolte di nomi, date, indicanti i prigioneri della prigione centrale, e per ogni singolo nome v'era allegato un prospetto psicologico d'ognuno di questi, perlopiù banali come l'aria, incapaci di destare il suo interesse.
    Gli occhi d'uno scarlatto vivido, colore del sangue, della brama più carnale e voluttuosa, accessi da un desiderio perpetuo ed intrinseco all'essere, atto ad animarlo, scorrevano imperterriti lungo quei medesimi fogli senza soffermarvisi più d'un istante, ma senza trovare alcuna soddisfazione; quelle carte, per quanto riempite fino ai bordi, non contenevano alcunché d'interessante per quello Shinigami così atipico, che aveva fatto del buio e del calmo silenzio di quella notte il suo dominio, sul quale affermava ora una brama così intensa e passionale di sangue, un desiderio crudele di sofferenza, intrinsenco alle carni, al dolore.
    Le dita si fermarono, d'improvviso, il movimento s'interruppe con una rapidità impressionante, sfoggiando un controllo mirabile, mentre una ghigna contorta e malata andò a dipingersi sul volto del giovane shinigami, il primo di tanti segni di quello squilibrio che ‘l'affliggeva’, del quale invece egli gioiva traendone sostentamento. Aveva trovato ciò che cercava; infine il tanto amato ed agognato oggetto del desiderio si palesava sotto ai suoi occhi assumendo la forma d'un possibile avversario.
    Si sarebbe volentieri abbandonato ad un languido riso, voleva saggiare e godere il più possibile di quell'istante rivelatore, tanto amabile eppure di così breve durata, il desiderio di assorbirne completamente l'essenza non era qualcosa che poteva ignorare, e sebbene egli non sembrasse ora differire in alcun modo dagli attimi precedenti all'interno una nuova ebrezza troneggiava, nonostante il desiderio, ormai al suo apice, scandiva la necessità di venir soddisfatto sollecitandolo con un sempre più irresistibile lamento di timore e angoscia.
    Ormai pervaso da un languido fervore, s'alzò, predendosi tuttavia il suo tempo, calmo ed ancor più composto di prima, senza lasciar trasparire alcunché delle sue reali intenzioni, com'era solito fare. Pensare che indossasse una maschera dalla perfetta adesione al volto sarebbe stato fin troppo semplicistico, lui era una maschera, la totale assenza d'una coscienza e della percezione delle emozioni gli permetteva di avere un perfetto controllo su di sé ed ogni sua azione; mentre l'utile capacità di poter emulare senz'alcuna difficoltà il quelle medesime emozioni e sentimenti tipicamente umani che trovava tanto sciocchi e melensi gli concedeva di poter essere chiunque, di potersi adattare a qualsiasi contesto e circostanza con estrema facilità, nonché un alibi per ogni evenienza. Godeva di quegli inganni ed amava il loro frutto quanto metterli in atto, la sua stessa esistenza non era che un inganno, giocare con quegli altri individui così tristi e piccoli era divenuto un diletto a cui ormai era assuefatto, ne traeva immane divertimento, e seppur fosse fin troppo prevenuto per confidare ciecamente in quelle stesse capacità di cui faceva tesoro, nessuno nel Seireitei era ancora riuscito a smascherarlo, o anche solo compredere un vago frammento della creatura spaventosa che invero era, l'inganno incarnato.
    Senza perder ulteriori istanti di quella così preziosa notte si diresse, con rinnovato ed inestinguibile desiderio, verso il complesso della ‘Grande prigione centrale sotterranea’, una denominazione tanto insulsa da fargli quasi torcere lo stomaco dal ribrezzo.
    Un nome in particolare aveva catturato i suoi occhi e specialmente il suo interesse in quella lista, quel viaggio fino alla prigione che aveva già intrapreso non era che un mero contrattempo a quello che si presagiva essere un infinito e vizioso godimento.
    Ma era ormai avvezzo a quell'inevitabile inconveniente, l'imparzialità di quel tempo così sgradevole ed arbitrario gli offriva modo di pensare, d'esaminare e concepire dal nulla lo scenario di quegli spettacoli perfetti, come egli amava definirli, quelle ricerche per il più dolce dei piaceri, una volontà impura e contaminata dal sangue e della brama.
    Lento, passo dopo passo s'avvicinava sempre più all'inscenamento di quel medesimo spettacolo che stava accuratamente preparando in ogni minimo dettaglio, ognuno di quei passi era atto ad avvicinarlo alla meta ed al contempo gliene dava una forma irrisoria e superficiale, grezza ed incapace di soddisfare, ma non era che l'inizio.
    Il cielo era andato a schiarsi sempre più, ed un timido sole iniziava or ora ad apparire, ma non aveva alcuna sorta di fretta, con quella stessa calma egli riteneva supremazia di sé stesso, per quanto condizionato da quelle medesime brame per cui viveva, tuttavia assolutamente indisposto a rifuggirle, invero non ne trovava alcuna ragione – il godimento che traeva da queste era immenso, lo empiva d'un dolce piacere dal quale si lasciava cullare; ma non durava mai troppo, lo lasciava vuoto, freddo, ancor più insoddisfatto.
    Raggiunse l'ingresso della prigione ch'era ormai giorno. Tanto imponente quanto banale, pareva dovesse esercitare una qualche sorta di pressione su chi l'osservava, gravare gli spiriti con un timore primordiale, incomprensibile ma ugualmente incapacitante, come a presagire un futuro inauspicabile all'interno di quello stesso complesso, ma allo shinigami tutto ciò faceva ridere, la falsa solennità gli risultava insignificante e patatica così come il fine ch'essa possedeva, non percepiva alcunché da quel costrutto di fredda materia.
    Fece il suo ingresso, ricordando quello stesso nome che l'aveva portato in quel luogo. Quattro semplici lettere, che gli sarebbero altrimenti risultate insignificanti. Kuro. Un nome, una storia, un'esistenza. Ma tutto questo non gli interessava. Il rapporto, vergato da una mano insicura e tremolante, lo dipingeva come un individuo da temere, alla stregua d'una belva feroce, indomabile e quanto mai pericolosa, come incapace d'arrestarsi, di darsi un limite, in grado solo d'uccidere e di continuare a farlo.
    Una premessa davvero troppo interessante per poterla ignorare.
    L'atmosfera totalmente mefitica di quel luogo, quell'agglomerato di maligna brutalità ed efferatezza, d'intenti disumani e malvagi, taciuti ma palesi su quei volti corrosi dal tempo, sconfitti, le menti usurate da quelle catene da quella prigionia infinita, ormai del tutto annichilite, e le grida strazianti, d'afflizione, d'infinito patimento lo accolsero, e senz'esitazione se ne fece abbracciare.
    Era a casa.
    Si fece strada nel complesso, languido, godendo d'ogni sguardo, ogni grido, di quello scontro d'energie più o meno forti ma egualmente corrotte, di quell'assenza di pietà che regnava sovrana, un piacere profondo lo pervadeva, non intendeva affrettarsi, il suo obiettivo era poco più avanti, e non sarebbe certo fuggito.
    Sfortunatamente.
    Si fermò dinanzi alla cella, ad un qualche passo dalle sbarre, ove poté notare la sgradita presenza di quello che pareva essere un altro shinigami, un insetto sulla strada di cui non avrebbe esitato a sbarazzarsi in caso di necessità, ed un detenuto che pareva stargli parlando. Ignorò i due, come le fattezze del carcerato, degnando la sua figura d'un solo rapido sguardo prima d'arrivare a fissare i suoi occhi in quelli dell'altro, voleva cogliere quella stessa malvagità descritta nei rapporti così inaffidabili e superficiali, in definitiva inutili. Lo sguardo bieco lasciava trasparire brutale efferatezza, gli occhi cupi erano incapaci di nascondere quella malvagità che da essi straripava, la medesima insaziabile brama d'un dolore assoluto e perverso, il desiderio di carne e sangue e morte, tutto ciò che parevano condividere e che avrebbe reso quell'incontro tanto dilettevole.


    Concedetemi quantomeno di definire il pg shinigami, visto che ho deciso di giocarmi Haine forse per l'ultima volta, naturalmente senz'alcuna implicazione a livello di energia od abilità.
    Oltre a questo credo d'essermi attenuto alle restanti regole.


    Edited by Arãshi - 27/6/2014, 16:19
     
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7 replies since 23/6/2014, 14:51   218 views
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