Allenamento Hanae Haru

“Mi scusi, saprebbe dirmi se Go Tsuaki sta tenendo qualche lezione? Lo starei cercando per motivi urgenti…” dissi alla ragazza che, con aria sbrigativa, si stava occupando di sistemare innumerevoli carte, poste sopra il bancone che delimitava la segreteria accademica. “Tsuaki? Il nono seggio della quarta brigata? Che io sappia è andato a farsi i suoi usuali giri nei pressi del decimo distretto, forse starà osservando il cielo sul tetto di qualche abitazione… Non saprei dirti altro, mi spiace” mi rispose quella, troppo indaffarata per potersi permettere di soddisfare le domande che le erano venute in mente, come ad esempio il perché un ragazzino del Rukongai, che per giunta non indossava nemmeno la divisa dell’accademia, stesse cercando uno degli insegnanti di quest’ultima. Con un rapido cenno di ringraziamento mi immersi nuovamente negli affollati vicoli che formavano gli intricati quartieri adiacenti al Seiretei, riuscendo a raggiungere il luogo indicatomi solo dopo diversi minuti passati a farmi largo tra le persone che occupavano quelle strade polverose.

Una volta arrivato a destinazione, trovando una pila di casse che sembrava fare il caso mio, mi arrampicai sopra la superficie usurata di quest’ultime, giovandomi della mia leggerezza finché non misi piede sul bianco tetto di quella casa, da sopra la quale ebbi la fortuna di scorgere subito colui che stavo cercando, il quale era sdraiato sullo scuro rivestimento di una dimora adiacente, a distanza sufficiente perché potessi, a gran voce, urlare il suo nome, risvegliandolo dal torpore in cui pareva essere come suo solito scivolato: “Ehi! Go! Sono io, Hanae! È arrivato il momento di muoverci un poco, non posso lasciarti sempre a poltrire, pigrone!”.

La repentina sveglia di quell’indecifrabile sensei mi spiazzò a tal punto da rimanere stranito ad osservarlo anche dopo l’inizio della sua fuga, necessitando di qualche secondo al fine di assimilare l’enorme quantità di insensatezze appena registrate. Quando finalmente mi decisi a partire, Go aveva già saltato senza alcun problema il baratro che divideva i tetti di due case adiacenti, ed un urlo proruppe dalla mia gola: “Oh, si invece! Fatti prendere, brutto sfaticato!”. L’adrenalina già mi percorreva il corpo quando, a mia volta, mi librai in quel primo salto, osservando lo shinigami allontanarsi ad una velocità ragguardevole, ma non certo paragonabile alle altre che avevo già avuto modo di vedere. Per un attimo fui quasi convinto che il nostro piccolo gioco potesse ambientarsi e concludersi sui tetti, ma ben presto fui costretto a ritornare coi piedi per terra, a causa dell’ennesimo salto eseguito, stavolta troppo corto per non rovinare a terra, tra i sudici vicoli del Rukongai. “Non scappare!” gli gridai ancora, rialzandomi dolorante e coperto di graffi, senza tuttavia avere il tempo materiale per preoccuparmene, occupato com’ero ad impedire a quelle nere vesti di scomparire alla mia vita. L’inseguimento, dunque, riprese, lui tra i tetti ed io qualche metro più in basso, col fiatone ed i muscoli che, per quanto mi sforzassi di ignorarli, mi dolevano. Quel malandrino era maledettamente veloce…

“Ma è possibile che gli shinigami non siano in grado di combinare nulla senza quei maledetti kidou?” pensai infastidito al vedere quella sfera cremisi lanciarsi verso di me dopo l’elegante figura aerea dello shinigami, il quale ricadde poi al suolo per fuggire tra la folla. Piantando improvvisamente la gamba destra al suolo, tentai dunque, con un gemito a malapena udibile per la difficoltà nel compiere movimenti tanto repentini, di utilizzarla come perno per una rapida deviazione di novanta gradi alla mia sinistra, riuscendo per poco ad evitare l’impatto con quella tecnica che si infranse poco distante, creando un piccolo cratere bruciacchiato sul terreno. “Per fortuna che me l’ha lanciata frontalmente, o avrebbe potuto farmi abbastanza male…” mormorai gettando una rapida occhiata al mio fianco, senza potermene curare oltre prima di scattare nuovamente in avanti, verso la nera figura che ormai era giunta in prossimità del mercato del secondo distretto, facendomi largo tra la folla a gran voce, insultando chiunque osasse frapporsi fra me e la mia preda. I muscoli, tesi ed accompagnati da un roco e rapido respiro, parevano implorare il meritato riposo, ma li avrei continuati ad ignorare indipendentemente da tutto, almeno fino a quando anche l’adrenalina e lo spirito di competizione non si fossero estinti come cenere al vento.

… E come la furente Regina si scaglia, seguita da tutte le sue strisciate adepte, ecco che un alveare di quelli che un tempo erano stati uomini mi si parò innanzi, deciso ad apporre sul mio candido collo il marchio della giustizia, in una ghigliottina simbolo del rifiuto di fronte ai soprusi, da troppo tempo perpetrati nei loro confronti. “Ma io che diamine c’entro?!?” esclamai, in un solitario urlo di cui ancora oggi avverto l’eco nella mia mente, prima di esibirmi tosto in una frenata che ben poco del fiero cuore del leone avea “Maledettissimo Go, io ti ammazzo per questo!!!”. Le possenti membra, normalmente portate all’offesa, si voltarono come gazzella impaurita, scartando in un vicolo laterale mentre l’opprimente grido di rancore della folla ferita premeva forte sulle delicate orecchie. Nessuno di loro rappresentava un pericolo, preso singolarmente, ma nella loro plateale ferocia non mi avrebbero mai permesso di raggiungere l’oggetto delle mie brame, che così ardentemente desideravo ormai colorar di calci. Per fortuna, l’onesta Astrea volle venirmi in aiuto, e le rapide gambe si rivelarono troppo veloci perché quella fiera crudele mi lacerasse con le proprie lame affilate, donandomi presto la fausta nuova che i miei occhi raccolsero lieti: l’ampio spiazzo nel quale Tsuaki svampito era prima scomparso.

Arrivato nell'ormai scarna piazza finalmente vederlo potei, accompagnato da un cupo e ritmico battito nel mio petto, causato dall’ira che mai abbandonarmi avrebbe voluto. Raggiungerlo, tuttavia, non potei, e stanco ma tenace tentai solo di stargli appresso, abbandonandomi in un intrico di vie troppo simil tra di esse per esser ricordate. Lunghi momenti passarono prima di scorgere la verde tomba, che subito Tsuaki evitò librandosi ad altezze ancor per me irraggiungibili, costringendomi ad avanzare, tra un’imprecazione ed un colorito epiteto, nella bassa e sporca selva. Serpenti ormai erano i miei compagni, e spinose ragnatele sanguigne m’incidevano la carne, rallentandomi ancor la rabbia che simil ad Ares ardente avrebbe voluto scagliarsi su esso, utopistico sogno d’una realtà tanto lontana. Macchia sfocata era ormai il mio obbiettivo, ed il passo lento scemava, preludio di una caduta sì imminente che avrebbe marchiato il mio corpo del nero marchio dell’apparente sconfitta, almeno di fronte agli occhi d’Hanae. “D…Diamine… Ma quanto sei veloce… Ricordati che, non appena ti prenderò, sarai uno shinigami morto…” pensai, mentre anche la voce si sfumava di desolata stanchezza. In una selva smarrito? No, anche sui gomiti mi sarei trascinato fuori da quel loco, pronto a dare nuovamente il meglio di me con i pochi che potevano battermi.