La morte di Delmar Iglesias

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  1. Tamaki-kun
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    Avevo visto tutto. Fin dal macabro esordio delle disavventure di quel ragazzo, avevo assistito allo spettacolo con occhi attenti ed affascinati. Per due giorni mi ero permesso di evitare i dovuti rapporti che periodicamente avevo il compito di fornire alla candida dimora di Las Noches, ma Aizen sapeva bene quanto adorassi quei tetri spettacoli. Grotteschi, si ripetevano ogni giorno in ogni luogo, eppure ogni volta erano diversi. La delusione negli occhi delle mie vittime compariva lentamente oppure all’improvviso, il colore delle loro gote li abbandonava rapido, così come erano stati abbandonati dai propri simili. Dal momento della nascita, non avevano vissuto che per l’epilogo della loro vita, sia che questo avvenisse in maniera traumatica sia che li sfiorasse dolcemente nella vecchiaia. La vita stessa era una malattia, la peggiore. Fortuna che io avevo da tempo superato quelle debolezze, ero diverso e, devo ammetterlo, in quell’istante insoddisfatto. Avevo già pregustato l’ennesimo allievo, ma le insulse tecnologie degli umani lo avevano incatenato a quel letto d’ospedale invece di permettergli di incontrarmi, di raggiungere la verità che si nascondeva dietro la banale esistenza terrena.

    Avrei potuto aspettare, tuttavia mi rendevo conto di come qualsiasi opera meritasse solo un dato tempo per la sua esposizione. Oltre il tempo necessario, si tingeva invariabilmente di noia e torpore. Due giorni erano tanti, troppi per uno spettatore che non aveva distolto nemmeno per un istante lo sguardo dal palco, perfino se quello spettatore ero io. Come un fantasma feci qualche silenzioso passo vicino al letto di quel ragazzo, avvicinandomi alle macchine che avevano il compito di assicurare la sua incolumità fino a quando non si fosse rimesso. Era un vero peccato che i suoi occhi non fossero già in grado di vedermi, forse mi avrebbe perfino confuso con la signora nera ed incappucciata di cui molti avevano un’immagine stereotipata eppur attraente, la Morte. Con dita leggiadre premetti alcuni dei pulsanti che mi trovavo davanti, lasciando che solo l’interruzione del sordo ronzio prodotto da quegli strumenti avvertisse il futuro hollow di quanto stava accadendo. Sotto l’effetto di un oppiaceo come lo era la morfina, ero certo che si sarebbe reso conto del pericolo troppo tardi: stordito ed incapace di sentire dolore, forse l’unica avvisaglia della sua morte sarebbe stato l’iniziare a scorgere i miei sottili contorni.



    Edited by Tamaki-kun - 15/2/2011, 14:55
     
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