La morte di Delmar Iglesias

Avevo visto tutto. Fin dal macabro esordio delle disavventure di quel ragazzo, avevo assistito allo spettacolo con occhi attenti ed affascinati. Per due giorni mi ero permesso di evitare i dovuti rapporti che periodicamente avevo il compito di fornire alla candida dimora di Las Noches, ma Aizen sapeva bene quanto adorassi quei tetri spettacoli. Grotteschi, si ripetevano ogni giorno in ogni luogo, eppure ogni volta erano diversi. La delusione negli occhi delle mie vittime compariva lentamente oppure all’improvviso, il colore delle loro gote li abbandonava rapido, così come erano stati abbandonati dai propri simili. Dal momento della nascita, non avevano vissuto che per l’epilogo della loro vita, sia che questo avvenisse in maniera traumatica sia che li sfiorasse dolcemente nella vecchiaia. La vita stessa era una malattia, la peggiore. Fortuna che io avevo da tempo superato quelle debolezze, ero diverso e, devo ammetterlo, in quell’istante insoddisfatto. Avevo già pregustato l’ennesimo allievo, ma le insulse tecnologie degli umani lo avevano incatenato a quel letto d’ospedale invece di permettergli di incontrarmi, di raggiungere la verità che si nascondeva dietro la banale esistenza terrena.

Avrei potuto aspettare, tuttavia mi rendevo conto di come qualsiasi opera meritasse solo un dato tempo per la sua esposizione. Oltre il tempo necessario, si tingeva invariabilmente di noia e torpore. Due giorni erano tanti, troppi per uno spettatore che non aveva distolto nemmeno per un istante lo sguardo dal palco, perfino se quello spettatore ero io. Come un fantasma feci qualche silenzioso passo vicino al letto di quel ragazzo, avvicinandomi alle macchine che avevano il compito di assicurare la sua incolumità fino a quando non si fosse rimesso. Era un vero peccato che i suoi occhi non fossero già in grado di vedermi, forse mi avrebbe perfino confuso con la signora nera ed incappucciata di cui molti avevano un’immagine stereotipata eppur attraente, la Morte. Con dita leggiadre premetti alcuni dei pulsanti che mi trovavo davanti, lasciando che solo l’interruzione del sordo ronzio prodotto da quegli strumenti avvertisse il futuro hollow di quanto stava accadendo. Sotto l’effetto di un oppiaceo come lo era la morfina, ero certo che si sarebbe reso conto del pericolo troppo tardi: stordito ed incapace di sentire dolore, forse l’unica avvisaglia della sua morte sarebbe stato l’iniziare a scorgere i miei sottili contorni.

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Differenzia maggiormente il narrato dal parlato, magari andando a capo o inserendo le parole tra "___", -___- o <<___>>. Fai inoltre attenzione agli errori di grammaticali e di digitazione, ce ne sono un paio

-Chi sono? Chi, secondo alcuni, è soltanto la forma conseguente alla funzione. Inoltre, se poi ti rispondi da solo definendomi, assai sgarbatamente, un mostro, temo che potrei davvero diventarlo.- risposi al ragazzo in preda al terrore, rivolgendogli un dolce sorriso rassicurante ed inclinando un poco la testa a lato, per osservarlo sempre con la medesima espressione.
-Benvenuto nel mondo dopo la morte, mio caro ragazzo. Non far caso a quella fastidiosa catena che ti lega al tuo cadavere, posso assicurarti che sparirà ben presto. Ho visto parecchie persone reagire meglio di te, sai? Devo forse dedurre che avevi una diversa concezione del trapasso? Credevi in qualche Dio in particolare, per caso?- gli chiesi in apparenza interessato. In realtà tutto quello che volevo era riuscire a far passare tempo sufficiente perché la sua catena spirituale iniziasse la prima fase della corrosione, ed avrei preferito farlo chiacchierando amabilmente. Senza aver prima provato una goccia di quel dolore, sarebbe stato inutile donargli la consapevolezza della situazione in cui era venuto a trovarsi. Oh, beh, era solo questione di minuti: se anche avesse voluto continuare a gridare come una bambina, avrei dovuto sopportare i suoi urli ben poco. Alcuni tipi di dolore sono tanto forti da togliere il fiato, da impedire ogni coscienza del mondo esterno finché persistono. Questo era quanto avrebbe presto provato.
-Il mio nome è Zacarias Kanezane, sono stato mandato per occuparmi di te.-.

Non risposi a nessuna delle sue domande, con uno sguardo malinconico e quasi assente puntato unicamente sul suo macabro cadavere. Sembrava quasi che mi fosse penoso parlare, quando in realtà stavo aspettando l’entrata dell’ennesimo attore. Un baluginare candido, di un paio di denti affamati, comparve. Seguita da tante compagne, una bocca si dipinse lungo la catena del ragazzo ed iniziò a mordere la stessa, come se volesse spezzarla e divorarsi. A quella colonia di fauci affamate non importava della propria sorte, desiderava soltanto soddisfare il proprio appetito. Rialzai lo sguardo verso il povero plus: avevo visto tante volte come la corrosione della catena spirituale provocasse un dolore atroce, probabilmente sarebbe crollato a terra incapace di muoversi. Poco male, il primo attacco di solito durava una decina di secondi appena. Ma i successivi…
-Io sono un Hollow. Sono un predatore o un donatore di nuova vita e potere, dipende unicamente da quello che desidero. Ora tu ti ritrovi nello stato di plus, una semplice anima separatasi dal proprio corpo e dotata di energie fin troppo esigue. Sei inoffensivo, oltre che un pasto fin troppo magro per me. Divorarti non avrebbe senso… No, quello che voglio offrirti è una possibilità di riscatto. Ho visto come sei morto, sai? Ti piacerebbe vendicarti di quella donna? Ti piacerebbe vendicarti di chiunque, svolgendo sia il ruolo di giudice che quello di carnefice?- dissi ritornando ad incrociare i miei occhi con i suoi, non appena le bocce dipintesi sulla sua catena furono scomparse -Per farlo, però, dovrò fare esattamente quello che mi hai chiesto. Spezzare la tua catena. Strappartela dal petto. Per illustrarti il prezzo della tua nuova vita, ti pregherei di considerarlo un dolore mille volte superiore a quello che hai provato durante la corrosione di quegli anelli di ferro. Vuoi davvero che lo faccia, ragazzino..? Hai tre minuti per decidere.-.

-Tu sei pazzo, ragazzino, non sai di cosa stai parlando.- dissi con un sorriso che sembrava quasi volerlo compatire, mentre scuotevo la testa con delicatezza, avvicinandomi a quella creatura. Gli avrei dato esattamente quello che mi aveva chiesto, per vedere fino a quando non se ne sarebbe pentito. -Ma io…- sussurrai a bassa voce, chinandomi sull’orecchio del ragazzo per accarezzarlo con quelle parole mentre una mia mano gli si poggiava sul petto e l’altra sollevava piano la catena, facendola tintinnare tra i suoi anelli -… Adoro i pazzi, sono così affascinanti...-. Approfittando della perno creato con le mani iniziai a tirare a sua catena, con una lentezza estenuante eppure senza allentare per un attimo la forza che, pian piano, andava aumentarla. Potei quasi avvertire il petto di quel ragazzo mentre questo iniziava a lottare, come animato di una propria volontà diversa da quella del suo possessore, per impedire alla catena di staccarsi. Udii ogni cosa, chinato su quello che sarebbe diventato il mio futuro allievo, assaporando ogni momento. Fu uno squisito supplizio, impiegai volontariamente almeno cinque minuti per strappargli dal corpo quei ferri: non aveva più modo di ripensarci, adesso, era stato lui stesso a mettersi in gioco per quello che perfino gli hollow riconoscevano essere una delle torture più atroci.
Poi il plus scomparve improvvisamente, in una miriade di particelle di reiatsu vorticanti, che si lanciarono in ogni direzione possibile come spaventate dal destino che avrebbe atteso l’anima che fino ad allora avevano formato. Si sarebbero riunite nuovamente nel raggio di una ventina di metri, lo sapevo, per donare a quel ragazzo la sua nuova forma. Una forma mostruosa, differente per ognuno di noi, che accompagnava i primi periodi della nostra vita. Chissà a cosa sarebbe assomigliato il neohollow, scoprirlo era sempre un piacere.

-Delle ali? Beh, credo che ti faranno piuttosto comodo.- commentai con un sorriso lieto comparendo alle spalle dell’hollow nonostante la grande distanza entro cui si era formato, rivelando per un istante un pizzico della velocità di cui ero capace -Immagino tu abbia fame, piccolo. Dimmi il tuo nome, poi andremo a pranzare… Qualcosa mi dice che sarà una giornata movimentata: qui vicino sembra esserci un rappresentante dei nostri più cari rivali, non vedo l’ora di presentartelo.-. Ormai si sarebbe dovuta aprire una sorda voragine in lui, una fame tanto cieca quanto brutale che accompagnava i nuovi hollow fino al primo pasto della loro vita e che col tempo finiva con il ridursi ad un dolore sordo e costante. Conoscevo bene quella sensazione, l’avevo assaporata molteplici volte.