Allenamento [Hanae Haru]

Fu una notte movimentata. Per quanto mi sforzassi non riuscivo ad addormentarmi e piccole gocce di sudore, dovute al caldo opprimente, si univano alle coperte per farmele aderire sulla pelle quasi come una tela di ragno. Qualche pallido raggio lunare penetrava dalla finestra, andando involontariamente ad illuminare l’angolo della stanza dove da sempre avevo relegato la mia zampakutou. Era lì da anni, sporca e inutile, simbolo di quello a cui avevo rinunciato fin dal mio esame accademico. Io ero diverso dai tanti shinigami che abitavano il Seireitei, quella lama argentata non mi aveva mai voluto donare i suoi consigli ed io avevo da tempo rinunciato a cercarli, eravamo dei perfetti estranei. Solo un’altra persona sapeva cosa volesse dire combattere da soli, privi di qualsiasi futile aiuto, un capitano che non un fendente era riuscito a mandarmi in infermeria per diversi giorni. Ero stanco quando lui comparve, bisogna ammetterlo, ma questo non nascondeva il fatto che un intero abisso ci separasse ancora. Era forte, troppo forte. Grazie a queste considerazioni, forse tanto deprimenti per altri dei della morte, un piccolo brivido di eccitazione mi percorse la schiena. Fu in quella notte che decisi di prendermi la mia rivincita: era arrivato il momento di confrontarmi ufficialmente con Zaraki Kenpachi.

Il sole era appena sorto nel cielo aranciato quando giunsi ai cancelli dell’Undicesima Divisione, ma già oltre quelli si potevano udire le prime grida dovute alla foga dei combattimenti. Mi parve di riconoscere una voce tra le tante, la risata di una bambina.
-Tenente Yachiru!- gridai con voce forte e sicura, usando tutto il fiato che avevo nel mio corpo impettito per far sì che la ragazzina dai capelli rosa potesse udirmi. Le guardie all’entrata provarono per un attimo a farmi tacere, consce del pericolo che corrispondeva al chiamare in quel modo la gioviale ma irritabile ragazzina svegliatasi, ma prima che potessero riuscirci proseguii: -Sono qui per sfidare il capitano Zaraki Kenpachi!-. Una dichiarazione tanto semplice non avrebbe potuto suscitare più sgomento tra i confini dell’intera Soul Society.

Piccolo promemoria: ricordarsi di uccidere Urahara Mouryou, shinigami della Seconda Brigata. Non imprigionarlo, ma ammazzarlo. Questa era l’unica decisione saggia e ponderata che avrebbe permesso alla Soul Society di vivere un futuro di pace e prosperità. Per la precisione, adesso, grazie alla sua presenza dovevo conciarmi in maniera ridicola solo per poter sfidare Zaraki!
-… Beh, almeno ho ottenuto l’occasione che desideravo.- pensai a malincuore afferrando i vestiti che il prossimo morto per cause accidentali mi stava ponendo, assicurandomi di gettargli un’occhiataccia in grado di far calare la temperatura di quella giornata di qualche centinaio di gradi. Mormorando qualche parola spazientita mi avviai entro le mura dell’Undicesima Divisione, per cambiarmi almeno al riparo da sguardi troppo indiscreti. Indossai i pantaloni e la giacca, entrambi neri, prima di coprirmi con quel lungo cappotto ed inforcare perfino gli occhiali da sole.
-Guarda cosa mi tocca fare…- sussurrai irritato mentre ripiegavo la mia normale divisa priva delle maniche, osservando poi con fare disgustato il barattolo di gel che mi era stato dato. Ahimè, se bisognava proprio fare qualcosa tanto valeva farla bene. Affondai le dita in quella scatoletta untuosa e, passandomele tra i capelli, mi curai di tirare indietro anche la frangia che di solito mi ricadeva sulla fronte per farmi aderire tutti i biondi ciuffi in una pigra cascata priva di increspature, verso il retro della mia testa.
-Sei pronto, Zaraki-taichou?- chiesi ad alta voce quando mi decisi ad apparire nuovamente alla luce del sole. Le risatine che stavolta mi sarei aspettato non vennero (se non da uno zombie ormai a distanza di sicurezza), tutti i presenti erano occupati ad osservare il loro capitano che nel frattempo si era conciato più o meno come me. Anzi, aveva fatto di più: la sua pelle ora sembrava essersi scurita grazie all’uso di qualche unguento di cui non volli indagare l’origine. L’uomo mi guardò con fare famelico, prendendo posizione nell’ampio cortile di quella brigata e relegando tutti i suoi sottoposti a fare da spettatori a debita distanza. Rimanevamo solo io e lui.
Finalmente! In preda ad una momentanea eccitazione, cosa che raramente mi capitava di assaporare ancor prima che il combattimento avesse inizio, cominciai a far fluire all’esterno tutta l’energia spirituale che possedevo, di certo paragonabile a quella di un tenente ma ben poca cosa se confrontata con quella del più forte tra i kenpachi. Sotto la mia pelle iniziò ad accumularsi uno spesso strato di reiatsu, simile ad un secondo rivestimento oltre a quello che già naturalmente possedevo, ogni muscolo fu rinvigorito e tonificato man mano che si impregnava di quella ricca fonte di energia. Hierro, così chiamavo quella tecnica, riferendomi alle favolose capacità difensive che avevo potuto notare in alcuni hollow durante le mie numerose missioni.
-Iniziamo!-.
Gettai un rapido sguardo alla spada del colosso, il cui filo era ormai irrimediabilmente rovinato dai troppi combattimenti. La reggeva nella sua mano destra. Bene, mi sarei orientato di conseguenza. Con uno scatto piuttosto veloce corsi verso di lui, scartando poco prima di entrare nel suo raggio d’azione per dirigermi verso il lato sinistro del suo corpo. Gli arrivavo a malapena alla cintola con la mia altezza e, curandomi di alzare sia il braccio sinistro che la relativa gamba, li flessi a proteggermi opportunamente il lato del corpo che sapevo bene essere soggetto ad un eventuale fendente capace di spazzarmi via. Facendo leva sull’arto inferiore destro, ancora poggiato a terra a fornirmi un appoggio stabile, caricai di reiatsu la punta delle dita della mano situata nello stesso lato per tentare un affondo verso la porzione inferiore dell’addome del mio avversario, un colpo perforante poco a destra della linea mediana che gli divideva il corpo in due metà quasi identiche. In realtà, però, quello non era il mio vero attacco e della sua riuscita mi interessava relativamente poco.
Approfittando di aver già piegato la gamba sinistra per difendermi dai colpi della sua lama, mi limitai a distenderla velocemente per tentare un rapido e possente calcio verso il suo ginocchio destro da una posizione laterale rispetto ad esso, così da non dover nemmeno affrontare la resistenza opposta dalla patella. Puntavo a sbilanciarlo con la forza di quel colpo e, magari, a fargli seri danni alla preziosa articolazione ma, indipendentemente dagli esiti che avrei avuto, mi affrettai a concentrare proprio nella medesima gamba un forte flusso di energia spirituale che lasciai libero di fluire improvvisamente all’esterno, simile all’onda d’urto provocata dall’esplosione di una bomba. Se non fossi riuscito a farlo cadere con il mio primo tentativo, avevo in compenso buone possibilità di riuscirci grazie all’haretsu. Dopo tutto questo, avrei infine tentato di allontanarmi di qualche metro con un balzo all’indietro per poter giudicare l’efficacia delle mie azioni.

Fui colpito sul fianco lasciato scoperto, un esito scontato che tuttavia mi permise di sfruttare in seguito una posizione molto favorevole. La forza del colpo, infatti, mi sbalzò oltre il cerchio dei tanti shinigami occupati a guardare lo scontro, fino a farmi sbattere violentemente contro un muro di cui rimasero soltanto macerie. Non potei fare a meno di trattenere un sorriso, accarezzandomi il taglio aperto sul corpo con le dita della mano sinistra e sfiorando poi con esse le mie stesse labbra, quasi per voler assaporare quel liquido cremisi così raro in me.
-Questo… E’ mio… Non sei affatto male, Zaraki...- sussurrai assorto mentre mi rialzavo, senza degnare di molta attenzione i commenti di scherno dei presenti. Avevo in mente un bel piano, la costituzione di quel mostro era simile alla mia e ciò implicava che ne avesse anche gli stessi punti deboli. Per un attimo fui tentato di scusarmi con il pubblico: avrei dovuto renderlo parte del combattimento. L’onda d’urto che avevo tentato di utilizzare per indebolire il ginocchio del Kenpachi si era scaricata a terra, ma lui era l’unico che poteva dirsi immune ad un’emissione di energia spirituale di quella densità. I suoi sottoposti sarebbero stati sbalzati tutti molto lontano.
Con una risata divertita mi apprestai a tornare nel vivo dell’azione, scattando in un istante dietro le file dei molti shinigami privi di seggio che attualmente mi separavano dal mio vero avversario. Una volta lì, prima che la maggioranza avesse il tempo di reagire, rilasciai con forza parte del reiatsu che possedevo, creando un vero e proprio muro che li travolse e li lanciò tutti verso il proprio Capitano. Un mare di corpi vestiti di nero sarebbe stato il mio diversivo.
-La prima volta cadono tutti quanti!- sbraitai in vena di citazioni da cosplay, una piccola nota poetica che fu realizzata quando avevo già iniziato a correre verso il fianco sinistro del Kenpachi, in quei momenti dovevo essere ancora invisibile ai suoi occhi e questo gli avrebbe permesso di intuire la mia posizione. Proprio quello che desideravo.
Ruotando sul posto effettuai un rapido cambio di direzione, balzando stavolta verso il suo occhio destro che, coperto com’era da una spessa benda nera, non gli avrebbe permesso in alcun modo di intuire la mia posizione in mezzo al putiferio che avevo sollevato. I suoi sottoposti si sarebbero arrabbiati? Non lo sapevo e non mi interessava, da quel momento avrei giocato unicamente con lo scopo di ammazzare quel colosso. Fu con questi pensieri che afferrai, con la mano sinistra, la divisa di uno dei tanti pezzi di carne da macello davanti a me che avevo sfruttato per creare quel diversivo. Coprendomi con la sua figura avrei potuto avvicinarmi abbastanza da mirare al tessuto molle situato dietro la benda di Zaraki, con un colpo perforante che subito iniziai a caricare sulle dita già tese della mano destra. Non sapevo cosa nascondeva quel pezzo di cuoio nero, se dietro ci fosse un orbita vuota o un occhio integro ma malandato, mi era sufficiente sapere che il mio affondo avrebbe potuto scavargli un bel buco nel cervello. Corpi simili, punti deboli simili: vediamo come avrebbe reagito a questo tentativo.
Ero ormai a circa cinquanta centimetri dal suo volto quando distesi il braccio sinistro per scagliare il corpo dello sventurato shinigami verso la spada del capitano, così da ostacolarla nei movimenti ed assicurarmi un paio di ulteriori istanti come margine. La mano destra si diresse veloce e implacabile verso il centro della benda di Kenpachi, ansiosa com’era di darmi in omaggio il suo sangue. Da quella posizione avrei dovuto essere a malapena visibile al suo occhio sinistro e, di certo, gli sarebbe stato molto difficile reagire. Questi erano gli scontri che amavo.

Esiste una sottile linea che divide la sanità mentale dalla follia, un segno tremolante ed evanescente, quasi impossibile da scorgere per gli occhi umani. Da shinigami le cose non erano cambiate più di tanto, con l’unica differenza però di aver finalmente smesso di porgermi domande tanto inutili. Sano? Pazzo? Non ha importanza. Esiste solo la situazione che stiamo vivendo e che possiamo assaporare in maniera moderata o eccessiva. In mia discolpa, quando pensai a quello che a breve avrei fatto, posso solo affermare di non avere mai amato le mezze misure. E’ una scusa troppo debole? Temo di sì.

Ero ancora occupato a calare verso il terreno, unica mia ancora di salvezza, quando scorsi il più temibile dei capitani del Gotei XIII sollevare la sua spada scatenando una quantità di reiatsu a dir poco abominevole. Si permise perfino un commento sull’affettarmi il braccio destro! Maledetto pallone gonfiato, nemmeno io ero tanto provocatorio durante i combattimenti contro Rei o Saku. O almeno credo, perché ripensandoci… Si, lo so, non potevo permettermi simili digressioni mentali o non avrei fatto in tempo a schivare quel colpo, già calante. Peccato che fosse proprio quello che volevo.
-La Dodicesima Brigata mi ridurrà sul lastrico per questo giochino.- pensai irritato, concentrando rapidamente gran parte del reiatsu di cui disponevo all’altezza della spalla e rilasciandolo poi in due esplosioni consecutive che, almeno in apparenza, sarebbero state attribuite a miei vani tentativi di rallentare il fendente di quel colosso. Sciocchezze, sapevo di non essere in grado di bloccare un colpo simile né mi importava di farlo, ma non potevo permettermi che Zaraki-taichou arrivasse a sospettare qualcosa.
Mentre la lama mi penetrava nella carne, incidendomi facilmente anche l’osso, mi morsi con forza il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, sfruttando i tanti recettori presenti sulle labbra per distrarmi almeno in parte dal dolore maggiore. Funzionò, riuscii a poggiare entrambi i piedi al suolo senza avvertire un eccessivo shock per l’improvvisa e cospicua emorragia che avrebbe quasi fatto svenire molti miei parigrado.
-Mi rimarrebbe il sinistro, beota.- gli risposi, glaciale, mentre flettevo ambedue le gambe ed in un istante spiccavo l’ennesimo balzo verso l’alto. Fu questione di pochi attimi: distesi il braccio sinistro per afferrare l’enorme trachea del mio avversario e quasi contemporaneamente provai a sfondargli il setto nasale con una potentissima… Testata. Sfido chiunque a fare di meglio nella mia situazione.