A volte la vita è cosí amara che ti costringe a nuotare in un lago d'acqua dolce

Chiunque voglia può aggiungersi

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  1. Alex932
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    SPOILER (click to view)
    Boh, mi annoiavo.
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    Era uno di quei giorni in cui il torrido sole dell'estate nel rukongai creava quella comune allucinazione che ti dà l'impressione di vedere l'atmosfera ed essere in contatto con il mondo intero.
    Forse stavo pensando a troppe cose allo stesso tempo.
    Forse non stavo pensando a nulla.
    Fatto stà che proprio in quella giornata mi trovai per un certo periodo di tempo, che purtroppo non ebbi l'occasione di monitorare, riportare sotto forma di nota ed archiviare, a stretto contatto con un organismo dalla vita particolare, quel verde anfibio che si ciba di insettini e vive per quasi tutta la sua vita in un ambiente naturale chiamato stagno.
    Non sapevo nemmeno che volesse dire anfibio a dirla tutta, ma solo che erano animali vertebrati ed erano stati i primi a colonizzare l'ambiente terrestre, ed era forse per questa ragione che li ammiravo, anche se li trovavo esattamente adatti quando loro veniva accostato quel particolare aggettivo che descrive qualcosa capace di provocare una reazione generalmente negativa (nonostante certe persone la cerchino per perversione), e generalmente seguita dal verso "eeew" e una serie di altri effetti collaterali quali nausea, vomito ed incubi notturni alla sola vista.

    Nemmeno era importante l'esatto motivo per cui mi trovavo lì, se non per il fatto che in mattinata, esattamente 12 minuti dopo la mia giornaliera sveglia, e 43 minuti prima di arrivare in questo preciso luogo, mi era stato chiesto di andare a prendere dello zucchero, e mi era stato detto che avrei potuto trovarlo nel mercato
    Il mio intuito, tuttavia, mi aveva portato a pensare che ci doveva essere una ragione se l'acqua dei laghi era chiamata dolce, una molto più profonda del "Perchè non è salata", che tutti mi avevano propinato; anche perché in tal caso sarebbe stato appropriato denominarlo "insipido", invece.
    Mi racconti i suoi segreti, dunque, messer rospo.
     
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    Il mio nome è Fukuda. Shinji Fukuda. Sono uno shinigami da non tantissimo tempo, in verità. Eppure, da quando sono entrato a far parte di questa organizzazione di gente strana, mi sono concesso raramente delle pause, dei momenti di svago. Anzi, sarebbe più giusto dire che non ho lasciato che mi venissero concesse: con tutta quella storiella dell'allievo prodigio, del piccolo genio che impara in fretta, mi avevano un po' sballottato da una parte all'altra del Seiretei per fare un po' di questo, un po' di quello. Mi vennero presentate decine e decine di shinigami appartenenti ad altre Compagnie di cui onestamente ricordo poco o nulla, se non i loro volti e qualche nozione random, ad esempio i seggi e la compagnia a cui appartenevano, ma quanto ai nomi proprio no. Ma ciò che sempre rimarrà impresso nella mia mente è stato il primo giorno in brigata, con tanto di giro turistico della Dipartimento Ricerca & Sviluppo, che da quel giorno sarebbe poi diventata la mia casa. Purtroppo.
    Chiariamo, mi piace la compagnia nel quale sono entrato, l'ho scelta appositamente per il suo alto livello di flusso di informazioni e di sapere: solo trovo particolarmente inquietante la gente che oltre me la compone. E visto che ultimamente ho la fobia della gente che indossa i camici, non è che mi trovi particolarmente a mio agio lì in mezzo a quei tipi. Gente con qualsiasi tipo di modifica in corpo, tipo ce n'era uno che di umano aveva ormai poco o nulla. E dato che ho un'incontrollabile fobia delle cose strane che non assomigliano agli esseri umani e che sono dotate di parola, lavorare con quel tizio sarebbe stato problematico. Soprattutto quando inizia a girare una manovella e far muovere il suo bulbo oculare. Credo che potrei sviluppare una fobia verso i bulbi oculari. Credo.

    Comunque, quella mattina avevo deciso di prendere una giornata per riposare e non vedere camici bianchi intorno a me, dopo che ieri un collega mi aveva sfiorato passandomi alle spalle e l'intero filmino della mia corta esistenza post-mortem scorreva davanti ai miei occhi nel vano tentativo di trattenermi dal dire qualcosa. Alla fine la dissi comunque, ma non posso farci nulla. Credo di aver detto qualcosa come «Mi scusi, tizio con i capelli viola che dimostrano in maniera inequivocabile la sua mancanza di conoscenza verso un rivoluzionario utensile inventato secoli or sono chiamato in maniera rudimentale "pettine", sarebbe così cortese da... non... toccarmi... mai... più? Ho una leggera ribrezzo verso tutto ciò che concerne il contatto fisico con altri esseri viventi se non dotato di opportuni accorgimenti.»
    Ripensandoci, mi guardò piuttosto stranito prima di farmi un curioso gesto con la mano. Chissà perché mi ha detto che ero il numero uno... non doveva avere tutte le rotelle a posto.
    Mentre ripensavo a quanto accaduto il giorno prima, mi ero già vestito con la prima cosa che ho trovato -il mio shihakusho, scelta infelice quella di indossare la divisa anche nel tempo libero, ma non mi importava particolarmente- e stavo già sistemando la mia pettinatura che mi faceva vedere il mondo solo dalla prospettiva destra. Passai distrattamente i polpastrelli della mano sinistra lungo le bruciature vicino al rispettivo occhio, costatando che effettivamente non erano guarite magicamente. Scrollai le spalle ed uscii sotto il sole di quella che in effetti una splendida giornata, ma vista da un occhio cinico come il mio era niente più che una giornata soleggiata in assenza di nubi e vento particolare, con una temperatura non più definibile come gradevole superiore ai trentadue gradi: caldo torrido insomma.
    Decisi di incamminarmi verso il Rukongai, magari verso quella che prima era casa mia. Lungo il cammino, non potei fare a meno di notare che un ragazzo dai capelli neri, o forse una ragazza -non era ben chiaro-, stava intrattenendosi a dialogo con un rospo sulla sponda di un laghetto nei pressi del sentiero che stavo seguendo. Non potei trattenermi anche in questa occasione dall'avvicinarmi dall'ambiguo tizio/a, che notai solo dopo essere incredibilmente alto/a rispetto al sottoscritto e non posso nascondere che la cosa mi dava sui nervi.
    «Chiedo venia, ragazzo/a che non conosco, ma non ho potuto fare a meno di constatare il fatto che tu ti sia intrattenuto a dialogo con un animale; non nego che talvolta possa risultare più appagante che il confronto con determinati individui, ma a meno che tu non sia un illuminato da un Dio di una delle varie religioni terrene e il tuo nome corrisponda a Francesco o Pippi, ho dei forti dubbi sul fatto che tale creatura possa in alcun modo risponderti con un modo che differisca dall'appiccicarti quella lingua piena di... microbi... e... potenziali infezioni... e malattie... sulla faccia.» Le opzioni, quindi, in questi casi erano sempre due: o il tizio era molto paziente [leggesi: più suonato di Shinji stesso, ndr] ed avrebbe continuato il dialogo oppure intimorito dalla mia saggezza prorompente, sarebbe fuggito via a gambe levate.
     
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  3. Alex932
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    Il faccia a faccia con l'animale non era ancora giunto ad una conclusione: i grandi occhi vacui dell'animale, simili a due cerchi concentrici, dalle strofe bianche e guizzanti all'esterno e nero pece, inanimato all'interno, la cui grandezza aumentava e diminuiva con il respiro della creatura, si riflettevano direttamente nei miei, altrettanto vacui, ma dalla vivace sfumatura blu, che diventava un acceso azzurro a contatto coi raggi curvilinei di quel sole cocente.

    La disputa non era giunta ad altro che a un empasse, che il mio sguardo si perse nel contemplare sé stesso, come catturato da una strana forza che mi attraeva all'autocompiacimento nel vedermi; la forte e irresistibile voglia di guardare un punto fisso dove potessi scorgere me stesso mi aveva appena preso e non riuscivo a liberarmene, non potevo neanche volendo in effetti, perché era troppo forte. Insomma, in realtà non avevo fatto altro che addormentarmi, mostrando al mondo un altro dei miei peculiari costumi: dormire ad occhi aperti.
    Il mio cervello, in effetti, svolgeva un'attività maggiore a quella della norma, e i miei sensi erano molto maggiormente sviluppati rispetto a quelli di chiunque altro, così che durante il sonno la mia attività cerebrale e corporea era quella di una persona normale, motivo per il quale questi era molto leggero.

    Se non fosse stato per un improvviso disturbo, in effetti, il mio corpo si sarebbe svegliato solo dopo le 9 ore e trentasette secondi di cui aveva bisogno per riportare ogni procedimento al punto giusto. Lo avevo studiato per conto mio, provando per un anno ogni giorno un orario diverso, sette in punto alle nove e trentasette, per l'appunto.
    Che sarebbe successo dunque al mio corpo se non avesse dormito l'esatto tempo prestabilito? Nulla, sarei stato solo molto frustrato per tutto il resto della giornata.

    E fu così, che mentre il sole illuminava la mia nuca in modo perfetto, senza raggiungere gli occhi; il rospo sembrava essere ipnotizzato a sua volta dal mio sguardo impassibile; il vento correva tra le foglie degli alberi ad un ritmo regolare che ricordava quello del jazz, senza mai andare fuori tempo; lo stagno stagnava come al solito, senza dare nemmeno l'ombra del dubbio che si sarebbe increspato da un momento all'altro. Proprio in quel momento in cui il nirvana sembrava il centro di una metropoli affollata a confronto, come uno squarcio nel vuoto, quattro unghie di gatto su una lavagna, un gancio destro all'orecchio e tua cugina di tre anni che strilla perché non le hanno comprato il nuovo modello di barbie arrampicatrice sociale, una voce sconosciuta mi pugnalò alle spalle, facendomi cadere nel lago.
     
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2 replies since 10/12/2012, 12:22   47 views
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